Rivista Anarchica Online

rivista anarchica
anno 22 nr. 196
dicembre 1992 - gennaio 1993


Rivista Anarchica Online

Anarchia nel Levante
di Misato Toda

Perché il pensiero e la vita di Errico Malatesta, anarchico italiano vissuto a cavallo tra '800 e '900, possono essere importanti per il Giappone che si affaccia al 21° secolo? Se lo chiede l'anarchica giapponese Misato Toda.

Cari Carla e Giulio,
vi ricordate ancora dell'estate 1977? Era la fine di maggio quando ci siamo incontrati per la prima volta a Caserta, città che è stata capitale dei Borboni fino all'unificazione dell'Italia nel 1860. Eravate tutti e due redattori del "Quotidiano dei lavoratori" un piccolo quotidiano della nuova Sinistra, che ai tempi era molto attiva anche in Italia. Avevate due figli ancora piccoli, un bambino e una bambina e la vostra famiglia viveva al quarto piano di un grande casamento, se non mi sbaglio. Nella vostra casa, di sera, si svolgevano accese discussioni tra di voi e i vostri amici, la maggior parte dei quali si occupavano di lavori editoriali, mentre altri, invece, erano ancora studenti. Non mi ricordo chi mi ha indirizzato da voi, probabilmente Marisa, un'appassionata femminista, che viveva e lavorava a Benevento, un'altra piccola città vicino a Caserta.
A quei tempi avevo appena cominciato la mia ricerca sulla vita e il pensiero di Errico Malatesta (1853-1932), anarchico che faceva parte della generazione cresciuta durante il periodo della unificazione italiana. Era nato a Santa Maria Capua Vetere, una piccola cittadina vicino a Caserta, in una famiglia benestante. Aveva cominciato la sua attività politica quando era uno studente di medicina all'Università di Napoli, prendendo parte alla Sezione di Napoli dell'Associazione Internazionale dei Lavoratori (Prima Internazionale). Per più di cinquant'anni fu una delle più conosciute personalità del movimento anarchico internazionale. Si è perfino arrivati ad affermare che la sua vita stessa rappresenta l'anarchismo italiano.
Quando egli aveva sette anni, l'Italia venne unita per formare un moderno "stato-nazione", sotto il regno dei piemontesi Savoia. Questo fatto ha rappresentato in pratica, per il meridione d'Italia, una conquista da parte del Nord. Prima dell'unificazione, più precisamente prima della formazione dello stato-nazione, il Sud - avendo fatto parte dei territori governati dai Borboni - aveva più o meno goduto di una propria cultura: da un punto di vista politico, così come da un punto di vista economico, la zona era rimasta indipendente. Dopo il 1860 il meridione si è trovato a vivere una radicale trasformazione della propria vita politica, economica e sociale: Napoli non era più la capitale ed era scesa a livello di centro locale; furono introdotti un pesante sistema fiscale e l'iscrizione generale, mentre l'unificazione delle politiche doganali portò alla distruzione dell'industria meridionale.
Diversamente, città settentrionali come Milano, Torino e Genova sono diventate fortemente industrializzate. Più il Nord diventava ricco, più il Sud diventava povero. In realtà, la politica governativa era quella di fare del Sud una colonia interna del Nord, nel contesto di un "moderno" "stato-nazione" italiano. Ovviamente la gente del Sud soffriva di povertà e discriminazione sociale. La situazione era nel complesso simile ai problemi che pone oggi il divario Sud-Nord a livello mondiale.
Errico Malatesta era cresciuto in questo clima di sofferenza e depressione che regnava al Sud. Solidale con la gente e indignato per le ingiustizie sociali, cominciò a mettersi alla ricerca di una società in cui ognuno potesse amare il prossimo in un clima di felicità, cercando allo stesso tempo un proprio modo di vita che gli permettesse di instaurare relazioni umane pacifiche con gli altri. Furono questi i primi passi che mosse nell'ambito della riflessione sui problemi sociali, mentre allo stesso tempo sottoponeva a verifica il proprio modo individuale di vivere.
Si guardava in giro: c'erano bambini che piangevano per la fame, vecchi che tremavano dal freddo... in un primo tempo simpatizzò con le idee di Mazzini e Garibaldi, nella convinzione che lo stato repubblicano potesse assicurare la felicità della gente. Successivamente, nel 1871, sotto l'influenza del movimento rivoluzionario della Comune di Parigi, divenne anarchico ed entrò a far parte della Sezione di Napoli della Prima Internazionale. Gli divenne chiaro che i veri nemici del popolo sofferente erano lo "Stato" e il "Capitale".

Quella domanda
Quando vi ho conosciuti, frequentavo l'Archivio di Stato di Caserta, cercando di chiarire, mediante l'esame di documenti storici, il processo che ha portato Malatesta a diventare un anarchico, vale a dire, un socialista sui generis. Una sera, prima della mia partenza, mi avete invitato a cena in un vecchio ristorante in cima ad una collina vicina. Abbiamo parlato, con grande serietà, dei problemi sociali e politici dell'Italia e del Giappone e della situazione internazionale in Europa e in Asia. Abbiamo discusso anche della nostra storia. Alla fine, Giulio mi ha chiesto: "Misato, perché ritieni che le idee di Malatesta siano di importanza essenziale per i giapponesi? Hai detto che la società giapponese è altamente autoritaria. Per quali motivi il concetto di anarchia può essere utile a coloro i quali sembrano essere soddisfatti di vivere con l'Imperatore Hirohito? Scrivi un articolo su questo tema per il nostro giornale" .
Io promisi di scriverlo. aggiungendo: "Ma non adesso. Devo approfondire le mie idee. Quando queste idee saranno mature, scriverò l'articolo e ve 1o spedirò." Ricordo ancora benissimo la tua faccia impensierita, mentre rispondevi: "Sì, sono d'accordo. Solo quando un'idea è matura, si può metterla per iscritto in un giornale. Aspetterò, Misato..". Senza rispondere alla vostra domanda, ho pubblicato nel 1988 un piccolo libro in italiano: il primo frutto delle mie ricerche sulla vita e sul pensiero di Errico Malatesta. Il libro è intitolato: Errico Malatesta da Mazzini a Bakunin. La sua formazione giovanile nell'ambiente napoletano (1868-1873), Napoli. Guida Editori. Ve lo avrei senz'altro mandato, se avessi saputo qual è il vostro nuovo indirizzo. Mi piacerebbe molto conoscere la vostra opinione su di esso. Probabilmente oggi sono in grado di rispondere alla domanda di Giulio: perché è indispensabile per i giapponesi, soprattutto per le generazioni più giovani, conoscere le idee di Errico Malatesta e in particolare le sue considerazioni sull'anarchia e l'anarchismo. Vorrei cominciare con la storia del processo di modernizzazione del Giappone.
Nel 1868 il Giappone ha dato vita ad uno stato "moderno" che portava il nome di "Grande Impero Giapponese" e il cui trono era occupato da un imperatore Meiji. Era l'epoca in cui le grandi potenze europee andavano alla ricerca di colonie o di sfere di influenza, in Asia, in Africa e nel Medio Oriente. Trovatosi ad affrontare questa situazione internazionale, il Giappone si è visto costretto a diventare ricco e ad entrare in possesso di una potente forza militare, pena la perdita della propria indipendenza. Si rese pertanto indispensabile per i dirigenti del nuovo governo concentrare tutti gli sforzi della popolazione su obiettivi nazionali. Con grande scaltrezza, i governanti ricorsero all'uso della famiglia imperiale, la quale aveva in precedenza svolto un ruolo più o meno importante nella società giapponese, dando vita ad un nuovo Sistema Imperiale, al fine di attirare su di esso l'attenzione del popolo. Oltre a fare da base per la repressione del Movimento per la Libertà e per i Diritti del Popolo, la Costituzione del Grande Impero Giapponese (Costituzione Meiji), promulgata nel 1889, definiva l'imperatore come un dio vivente. Si trattava di una finzione. Ma nei testi scolastici per le elementari rimasti in uso fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, il Tenno veniva definito, se si traduce letteralmente l'espressione, come "dio in spoglie umane" (arahitogami, o dio vivente) e si affermava anche che "il Giappone è un paese di dei".

Il dio imperatore
Mi domando come un "dio in spoglie umane" possa dare prova di responsabilità nelle sue funzioni di sovrano di uno stato moderno. Mi accorgo che descrivendo adesso questo fenomeno in una lingua straniera, il tutto prende un aspetto ridicolo. Eppure, fino all'agosto del 1945, quando il Grande Impero Giapponese fu sconfitto, i giapponesi furono costretti a considerare il sistema imperiale nei termini descritti sopra. Le idee di Suga Kanno, una dei precursori del movimento anarchico giapponese, devono essere prese in considerazione alla luce di questo contesto. Essa riteneva di grande importanza il fatto che gli imperatori venissero considerati uomini come tutti noi e non come degli esseri sovrumani o degli dei. Il risultato fu il suo martirio in nome della fede nella libertà umana. Fu uccisa perché aveva osato mettere in dubbio quello che era l'elemento sul quale si reggeva tutto il sistema imperiale e la cui falsità è oggi chiara a tutti
Vi parlerò di quelle che sono state le mie esperienze personali. Quando andavo alle elementari, credevo a quello che mi veniva insegnato: che il Giappone fosse un paese di dei e che l'imperatore fosse una specie di dio. A quei tempi veniva inculcato nella testa dei bambini e delle bambine il dovere di essere pronti a morire per l'imperatore, dato che venivano considerati come suoi figli (sekishi). Era pertanto naturale dedicargli la vita senza esitazione. Fu grazie a questa psicologia che i giovani andavano sul campo di battaglia a morire come Kamikaze (il vento degli dei). Arrivò infine il 15 agosto 1945. In quel periodo frequentavo la sesta classe delle elementari (l'ultima). Con nostra grande sorpresa, nel giro di poche settimane tutti gli insegnanti che ci avevano insegnato che l'imperatore era un dio vivente, cominciarono all'improvviso a parlare di democrazia!!
Il Giappone era occupato dalle forze militari americane. I governanti americani avevano l'intenzione di fare del Giappone un sistema democratico, ma senza abolire completamente il sistema imperiale, dal quale la gente era abituata a dipendere, perché temevano che in sua assenza si sarebbero potute diffondere tra la gente idee rivoluzionarie o che comunque la situazione avrebbe potuto farsi caotica. Ma questa politica diede come risultato una grande contraddizione: mentre ai giapponesi venivano concessi, per la prima volta nella loro storia, diritti fondamentali come quello di discutere liberamente e di determinare autonomamente le proprie decisioni, si chiedeva loro di rimanere ancora dipendenti dal modo di pensare tradizionale. Per quanto riguarda l'occupazione militare americana del Giappone, la politica di conservazione del sistema imperiale si è rivelata estremamente utile; essa ha funzionato pressoché miracolosamente per guadagnarsi l'obbedienza della gente.
Anche se l'imperatore Hirohito dichiarò di non essere più un dio, ma un semplice uomo e nonostante nella costituzione l'imperatore non venisse più indicato come il sovrano, ma semplicemente come un "simbolo" dello stato, rimanevano pur sempre i residui della vecchia struttura psicologica che era stata inculcata nelle menti della gente. Lo stato giapponese moderno è stato fondato, come lo sono stati altri stati moderni del mondo, sulla base di una finzione, ricorrendo all'uso di elementi ormai appartenenti alla storia (ma ancora funzionali) della sua società. Lo stato venne plasmato sul modello di una grande famiglia. In cima vi era il dio vivente, l'imperatore, il cui regno veniva giustificato solo sulla base del mito (ma nella vita interna di un imperatore si poteva trattare del Destino) che la sua progenitrice fosse stata la dea del Sole (Amaterasu-omikami). Il governo Meiji fece enormi sforzi per radicare questo mito tra la gente, ricorrendo, a tale scopo, soprattutto alla scuola obbligatoria. E' inutile dire che all'interno delle forze militari vigeva un sistema educativo che seguiva gli stessi principi. Si può senz'altro affermare che dai tempi della guerra russo-giapponese del 1904/05, gli sforzi messi in atto in tal senso dai governanti giapponesi avevano ormai dato i loro frutti, instaurando un atteggiamento psicologico comune tra la gente. In base a questo inganno ognuno veniva considerato figlio dell'imperatore, il Padre della nazione; pertanto, si riteneva che ciascuno, come figlio, fosse uguale davanti all'imperatore, il quale, a sua volta, veniva ritenuto amare tutti in maniera uguale.
Ma la realtà era molto più crudele. Questo mito, una volta applicato nella società reale, produceva per i suoi "figli" un mondo che non era equo, bensì altamente gerarchico, dato che il rango sociale di una persona veniva stabilito in base alla sua distanza dal trono dell'imperatore. Inoltre, il modello fittizio della grande famiglia giapponese si basava sul modello del sistema famigliare giapponese reale, nel quale il padre era l'entità superiore - come se fosse un piccolo imperatore - e i membri della famiglia di sesso maschile erano superiori a quelli di sesso femminile. Ogni famiglia patriarcale veniva considerata come un elemento della più grande famiglia patriarcale nazionale, ogni membro della famiglia doveva obbedire al proprio padre e allo stesso tempo al Padre della nazione.
Non c'era alcun posto per la libertà individuale, soprattutto per gli individui di sesso femminile. Oggi, considerando le cose in base a criteri logici, verrebbero dei dubbi sulla possibilità che l'imperatore, essendo un semidio e pertanto non un uomo reale, sia in grado di assumersi responsabilità di governo, nel senso in cui esse vengono intese in uno stato moderno di tipo occidentale, al cui modello si ispirava l'Impero giapponese. Non è certo necessario far notare che nel modello occidentale tutti coloro che rappresentano lo stato sono esseri umani, ivi incluso il re o l'imperatore.
Si può quindi dire che il trono dell'imperatore, così come veniva concepito dalla costituzione Meiji, era un trono vacante; l'imperatore infatti, essendo un dio vivente, non poteva assumersi alcuna responsabilità, visto che il trono era qualcosa di così sacro da non poter essere macchiato da errori umani.
E in realtà, nella storia dell'Impero giapponese, il sistema imperiale si è largamente dimostrato come un sistema improntato all'irresponsabilità. Un efficace esempio di questo fatto era l'esercito giapponese: ogni ordine veniva emesso a nome dell'imperatore e pertanto nessuno accettava di assumersi responsabilità definitive. Esse venivano rinviate sempre più in alto, fino a quando non arrivavano al trono, che di fatto era come vacante.

Pagine tutte nere
Tutto ciò dimostra come il senso di responsabilità personale possa esistere unicamente in un ambito di profonda libertà personale, nel quale ciascuno possa decidere il proprio ruolo in base alla propria volontà. Vale a dire che, senza autonomia e "autodeterminazione" non sarà mai possibile l'instaurarsi di un senso di responsabilità. Nell'Impero giapponese regolato dalla Costituzione Meiji, non esistevano spazi per poter realizzare le libertà individuali e sociali indispensabili per dar vita ad una società umana e felice.
Questo sistema politico cessò di esistere con il 15 agosto 1945. All'epoca in cui frequentavo la sesta classe elementare assistetti al crollo del vecchio sistema. Tutto quello che mi era stato insegnato e a cui avevo creduto, venne rinnegato nel giro di una notte. Non dimenticherò mai questa scena: i bambini della classe che cancellano con dell'inchiostro nero un gran numero di parole e di frasi intere dai loro libri di testo. Alcune pagine diventavano tutte nere. Le parti che venivano eliminate erano, secondo le forze di occupazione americane, pericolose e controproducenti per il processo di "democratizzazione" del Giappone, a causa delle idee militariste o reazionarie che contenevano.
Il maestro dettava e noi coloravamo il pezzo di nero. Era come un funerale del vecchio sistema fittizio. Durante questo processo, tuttavia, assistemmo allo spettacolo dei nostri insegnanti che si prodigavano a negare quello che ci avevano in precedenza insegnato. Fu un'esperienza dolorosa. Nel profondo del mio cuore stabilii che non avrei mai più creduto a degli adulti capaci di tradire la fiducia che dei bambini avevano riposto in loro e che non sarei mai diventata un adulto del genere. Con ogni probabilità, in quel momento, ero rinata come una nuova creatura che stava appena cominciando ad andare alla ricerca di "un vero se stesso", il quale non fosse incompatibile con l'esistenza di altri esseri umani.
Ovviamente a quei tempi non ero così chiaramente conscia della mia situazione. Come ragazzina di dodici anni non potevo far altro che intuire quale fosse la mia condizione. Tuttavia, grazie all'esperienza fatta con l'assistere alla fine di un'epoca storica e all'inizio di una nuova era, sono stata in grado, quarant'anni più tardi, di comprendere a fondo la situazione nella quale si trovava a vivere Errico Malatesta. Anche lui aveva assistito con i propri occhi alla fine del regno dei Borboni e all'inizio di una nuova epoca storica: la transizione politica, economica e culturale ad un nuovo sistema di valori. Aveva visto con rabbia adulti adunarsi sotto la bandiera del nuovo sistema di potere per soddisfare i propri impulsi egoistici, mentre altri affogavano nella disperazione. Cominciò così ad andare alla ricerca della propria strada in questa situazione caotica, portando avanti, in un primo tempo come ispirandosi a sogni infantili e in seguito con sicurezza sempre maggiore, la propria rivolta morale contro l'ingiustizia sociale. Nel 1925, immediatamente a ridosso dell'arrivo di Mussolini al potere, egli scrisse sul suo periodico Pensiero e Volontà, la cui voce venne soffocata dalle repressioni del regime fascista, le seguenti frasi: l'Anarchia è un modo di convivenza sociale, in cui gli uomini vivono da fratelli senza che nessuno possa opprimere e sfruttare gli altri e tutti abbiano a propria disposizione i mezzi che la civiltà dell'epoca può fornire per raggiungere il massimo sviluppo morale e materiale; e l'Anarchismo è il metodo per realizzare l'anarchia per mezzo della libertà, senza governo, cioè senza ogni autorità che con la forza, sia pure a fin di bene, impongano agli altri il proprio volere.
All'età di settantadue anni formulava per iscritto una delle sue più profonde intuizioni: ciò che importa, ciò che li fa anarchici è il sentimento, è l'aspirazione alla libertà, al benessere per tutti, all'amore fra tutti.
Nel tentativo di realizzare questo impulso radicale alla massima libertà umana, egli poneva un particolare accento sulla volontà individuale di ogni singolo: L'Anarchia è un'aspirazione umana (...) che potrà realizzarsi e non realizzarsi secondo la volontà umana.
Questa frase è troppo semplice e chiara per essere fraintesa. Nella situazione critica in cui ogni libertà umana veniva repressa dal regime fascista italiano, egli cristallizzò quest'idea che avrebbe dovuto rappresentare l'eredità delle lotte per la libertà, l'autonomia e l'autodeterminazione, portate avanti contro il potere da più generazioni. L'anarchia è nata in Europa verso la metà del diciannovesimo secolo quando, parallelamente al potere capitalistico, venne a crearsi una concentrazione del potere statale (in ambito militare, così come in quello burocratico). Nel ventesimo secolo, di fronte ad una sempre maggiore concentrazione del potere dello stato e del capitale, Errico Malatesta proponeva una rivoluzione umana improntata all'amore.
La mia opinione è che egli desiderava in tal modo cambiare completamente l'ordine gerarchico delle relazioni sociali, al fine di costruire una nuova società umana, dando incessantemente vita a delle nuove relazioni umane tra gli uomini e gli uomini, tra gli uomini e le donne e tra le donne e le donne, per mezzo dell'amore e della solidarietà. Secondo la testimonianza di Luigi Fabbri, che è stato a lungo suo collaboratore per quanto riguarda vari aspetti del movimento, le idee anarchiche di Malatesta erano assolutamente coerenti con i suoi sentimenti rivoluzionari, con la sua sensibilità umana e con il suo profondo sentimento d'amore. La mia opinione è che egli sia sempre rimasto fedele a se stesso e che abbia sempre cercato di collaborare con altri che fossero a loro volta fedeli a se stessi.

Umanesimo più radicale
Un essere umano che rimane fedele alla propria coscienza è dotato anche della sensibilità sufficiente per accorgersi quando qualcuno è incline a lasciarsi attrarre dalla possibilità di entrare in possesso di poteri, per quanto piccoli possano essi essere, che gli permettano di dominare gli altri, conservando in tal modo la possibilità di superare questa tendenza al potere grazie al fatto di essere confortato dal proprio senso di solidarietà. Pertanto, senza libertà di coscienza e senza la possibilità di esprimere liberamente tale coscienza, non vi sarebbe alcuno spazio per dar vita ad una società umana basata su dei rapporti reciproci equi e senza discriminazioni sociali. L'anarchia, quindi, è libertà sotto forma dell'umanesimo più radicale: nata in primo luogo nella coscienza umana e nel senso morale di ogni singola persona è cresciuta poi attraverso la solidarietà tra la gente, nel continuo rispetto dell'autonomia e dell'autodeterminazione degli altri. Il principio è valido anche per i gruppi esistenti all'interno di regioni e zone specifiche. Non importa il gruppo etnico o nazionale al quale essi appartengono: la loro autonomia verrà sempre rispettata dagli altri gruppi; e non importa il sesso al quale appartiene una persona: essa sarà sempre rispettata. Senza alcun potere socialmente dominante, gli esseri umani possono dar vita, per mezzo dell'autonomia e della solidarietà, a delle relazioni reciproche improntate alla libertà e all'eguaglianza. Si trattava del principio operativo al quale si ispirava la Prima Internazionale ai suoi inizi: l'Associazione Internazionale dei Lavoratori fondata in Europa nel 1864, nel periodo in cui andava formandosi il moderno sistema statale occidentale. In Europa, contemporaneamente al rafforzamento del potere statale andava intensificandosi anche la resistenza della gente nei suoi confronti. Così, il movimento della Prima Internazionale superò quelli che erano i confini tra i vari stati, diventando un'entità internazionale. In Giappone, invece, lo Stato Moderno si fondava su di un mito: l'origine del potere dell'imperatore si basava sul mito della sua discendenza dagli dei e del fatto che la famiglia dell'imperatore avesse sempre governato il paese fin dall'origine dei tempi. Secondo il governo, di conseguenza, era logico che noi obbedissimo a questo dio vivente.
La natura anacronistica di queste convinzioni è ormai chiarissima ai nostri occhi, ma allora il sistema funzionava senza intoppi. Uno dei motivi era che il governo non permetteva alla gente di pensare liberamente: le negava la libertà di avere una coscienza. Naturalmente tra la gente vi erano delle resistenze. Tuttavia il governo, mentre reprimeva i movimenti per la libertà di coscienza, introdusse nel 1890, sotto forma di Decreto Imperiale, quello che doveva essere il principio ispiratore del sistema di educazione nazionale e cioè che ognuno doveva dedicarsi per intero all'imperatore e allo stato giapponese.
Un'altra ordinanza imperiale che decretava la fondazione dell'Università Imperiale come massimo ente educativo nazionale, dichiarava che l'Università doveva avere come scopo quello di insegnare agli studenti ad essere utili allo stato giapponese. Pertanto, mentre venivano adottate a ritmo incessante tecnologie e politiche di potere ispirate all'occidente, l'idea di una resistenza da parte della gente venne puntigliosamente rifiutata. Si tratta di una tendenza ancora oggi molto forte nella nostra società. Un altro motivo era la situazione internazionale. L'Impero giapponese si era formato nel 1868, alla vigilia del periodo dell'imperialismo. Il Giappone avrebbe potuto essere conquistato, così come lo era stata l'India, o semi-conquistato dalle grandi potenze europee, come lo era stata la Cina. La gente era cosciente della situazione di imminente pericolo in cui si trovava la patria, soprattutto dopo la Guerra russo-giapponese. I sentimenti semplicizzanti della gente furono sfruttati da coloro che tenevano le redini del sistema imperiale, tra i quali vi erano, ovviamente, i militari.

Il nuovo sistema educativo
Il terzo motivo era il periodo feudale della storia giapponese, durante il quale il paese si chiuse nei confronti di ogni influsso straniero a partire dal 1639. Fu un anno dopo questa data che il governo militare feudale represse nel sangue la grande insurrezione dei cristiani giapponesi nella parte meridionale del Giappone.
Dopo tale data venne a cessare la libertà di fede. Tutti dovevano obbedire unicamente agli ordini dell'autorità feudale, che veniva chiamata con riverente timore Okami (vertice della gerarchia). Nonostante con la Restaurazione dei Meiji il Giappone si fosse formalmente aperto all'esterno, la mentalità feudale rimase: conservando il proprio appellativo di Okami, l'autorità feudale venne sostituita dall'Imperatore, che non ebbe problemi ad occupare il posto più alto nella psicologia della gente.
Vi racconterò un episodio. Quattro anni fa ho partecipato ad un seminario estivo, insieme ad alcuni miei studenti provenienti dal Giappone settentrionale. A tale seminario partecipava anche una dozzina di studenti stranieri di diversi paesi che studiavano in Giappone, tra i quali alcuni coreani, cinesi, indonesiani e iraniani. Una sera organizzammo una sessione di discussione libera che prevedeva quanto segue: ogni studente straniero, dopo essersi presentato, avrebbe posto alcune domande relative in qualche modo alle esperienze fatte con la società giapponese; a loro volta, gli studenti giapponesi, dopo essersi presentati uno alla volta, avrebbero cercato di rispondere a tali domande. Il risultato fu molto interessante: cominciammo tutti a riflettere sui motivi per i quali i giapponesi e la loro società sono così poco comunicativi. Uno studente straniero, per esempio, ha chiesto, "Perché i giapponesi hanno un modo di comportarsi doppio?": un amico giapponese l'aveva invitato, dicendogli "Vieni a trovarmi a casa mia". Così lui era andato a casa sua a trovarlo: l'amico gli aveva detto "Benvenuto" ma, ancora fuori dalla porta, il giapponese gli chiese: "Sei venuto per trattare qualche affare?". Rimase così raggelato che non sapeva proprio cosa dire... La maggior parte degli studenti stranieri che studiano da noi hanno avuto esperienze simili con i giapponesi e hanno con ogni evidenza sofferto in Giappone della differenza tra quelle che sono le reali intenzioni di una persona e quello che essa invece finge nei confronti degli altri. L'impressione che, come mi è sembrato, volevano comunicarci è che in tal modo diventa quasi impossibile costruire una vera relazione reciproca, perché nessuno potrebbe fare affidamento su degli atteggiamenti talmente ambigui; se uno non è sincero con se stesso e con gli altri, non è nemmeno capace di comunicare con nessuno, perché una vera relazione si basa sul cuore di una persona, sulla sua personalità reale.
Per cercare di fornire una risposta ai loro colleghi stranieri, molti studenti giapponesi hanno fatto riferimento al periodo storico durante il quale era in vigore la politica delle porte chiuse, che ha coperto tutto l'arco di tempo che va dall'età feudale fino alla Restaurazione Meiji e che ha tenuto continuamente il popolo giapponese sotto lo stretto controllo delle autorità, facendo sì che i cuori della gente si chiudessero e insegnandole ad esprimere le proprie opinioni solo davanti alle persone nelle quali si ha fiducia; anche se il Giappone si è aperto al mondo dopo il periodo feudale, la mentalità tradizionale è rimasta sempre viva. Alcuni hanno detto che anche in seguito, sotto il sistema imperiale, non è esistita la possibilità di esprimere la propria opinione liberamente e pubblicamente; tutti dovevano nascondere la propria opinione in pubblico, dato che esprimerla poteva essere pericoloso. Abbiamo fatto dei calcoli: dal momento in cui il Giappone è entrato nel periodo di isolamento nazionale nel 1639, fino a quello della Restaurazione Meiji nel 1868 sono passati 230 anni; dal 1868 fino al 1988 esattamente 130 anni. Il periodo di isolamento, quindi, è durato cento anni più a lungo di quello seguente. La mentalità ispirata da un comportamento doppio, pertanto, è stata trasmessa da una generazione all'altra per più di due secoli, o meglio, per dirla più semplicemente, per 7 o 8 generazioni, mentre meno di 4 generazioni sono passate dai tempi in cui è stata adottata la politica di apertura del paese verso l'esterno e dopo il 1945 sono passate solo due generazioni(!). Ci siamo tutti resi conto di come potrà essere difficile la situazione per le generazioni più giovani (e per le generazioni che devono ancora venire).
Cari Carla e Giulio, la mia lettera sta diventando molto lunga, eppure ho ancora tante cose da dirvi, soprattutto per quanto riguarda il nostro sistema educativo ispirato a criteri di controllo, che esercita una violenza non solo psicologica, ma addirittura anche fisica, sulle generazioni più giovani. Vi darò un solo esempio: di recente una ragazza è morta all'entrata della propria scuola, dopo essere rimasta intrappolata in una pesante porta d'acciaio a chiusura automatica. La persona che imprudentemente aveva schiacciato il pulsante era il suo insegnante. Voleva lasciare fuori gli alunni che erano arrivati in ritardo. Il nuovo sistema educativo, che è stato modellato dopo la guerra sulla base dei principi che regolano quello americano, sembra ritornare oggi ad una specie di "militarismo educativo", soprattutto nelle scuole medie inferiori. Gli insegnanti controllano il comportamento degli allievi in tutti i suoi aspetti (verificano la lunghezza dei capelli, delle gonne, il colore delle calze, ecc.) sotto la guida del preside della scuola, il quale, a sua volta, deve obbedire alle direttive del Ministro dell'Educazione e cioè al governo e ai leader politici. Ovviamente questi ultimi vogliono educare dei giovani che obbediscano ai loro scopi. Lo stesso vale per i potentati economici. Quello che vogliono è disporre di soldati del capitalismo che si dedichino all'azienda, senza tenere conto delle loro vite private e sociali. Tutto ciò significa che anche oggi lo stato e il capitale sono nemici della felicità, della libertà e dell'autonomia. E' inoltre in atto il tentativo di utilizzare il nuovo imperatore e la sua famiglia per riorganizzare la società giapponese sotto il nome della "tradizione". In particolare, lo stato e il capitale giapponese sfruttano i difetti che sono venuti storicamente a formarsi, come abbiamo visto sopra, nella società giapponese, per costruire una nuova struttura sociale improntata a criteri di discriminazione.

Autonomia e solidarietà
Oggi, il popolo giapponese, per potere ricuperare la propria autonomia di fronte alle violenze perpetrate dallo Stato e dal Capitale, dovrebbe in primo luogo riuscire a rendersi conto della propria situazione, perché senza tale coscienza nessuno potrà accorgersi di stare egli stesso perpetrando inconsciamente la violenza dello stato e quella del capitale. Una volta che se ne sarà reso conto, potrà cambiare e scegliere di conseguenza le proprie strategie di non cooperazione con questa violenza sociale. L'idea di anarchismo e di anarchia di Errico Malatesta, è in grado di aiutare i giapponesi a ritrovare se stessi nei loro tentativi di riottenere la propria libertà e la propria autonomia, in modo tale che essi possano scoprire la vera solidarietà con tutti gli altri popoli del mondo. È questo un fatto che dimostra come essa sia una delle più preziose tradizioni della saggezza umana della moderna storia europea.
Ho scritto questa lettera durante il periodo in cui si è svolta la cerimonia di incoronazione del nuovo imperatore del Giappone (nov. 1990, n.d.r.). Mentre la cerimonia procedeva sotto stretta sorveglianza della polizia (contro i movimenti radicali), alcuni giornali asiatici hanno espresso la preoccupazione che l'imperatore possa ottenere, ancora una volta, lo statuto di "dio vivente". I popoli dell'Asia ricordano ancora molto bene le aggressioni che i loro paesi hanno subito da parte dell'esercito giapponese che agiva in nome dell'imperatore, ovvero del dio vivente, e di essere stati costretti anch'essi a credere a questo mito e a tutte le finzioni che ne conseguono. Il sistema imperiale instaurato con la Costituzione Meiji aveva una doppia faccia: internamente era un sistema di violenza sociale, mentre esternamente funzionava come un meccanismo di aggressione. La sua funzione essenziale era quella di imporre con la forza il proprio sistema di valori sugli altri, al fine di manipolarli, deprivandoli in tal modo dell'autonomia e dell'autodeterminazione indispensabili affinché le personalità individuali possano formarsi e per organizzare sulla loro base delle comunità umane.
Si tratta di un modello che si trova completamente all'opposto del modello sociale di autonomia e solidarietà dell'anarchismo. Che il nuovo imperatore diventi o meno un dio vivente, sulla base di una "tradizione fittizia", dipende solo dalla volontà del popolo giapponese. Oggi, durante quello che è un periodo critico per la storia dell'umanità, dobbiamo collaborare tutti a livello mondiale, affinché sulla terra vi sia pace. Non possiamo tuttavia che cominciare da noi stessi. Errico Malatesta era un uomo che ha cominciato da se stesso, mostrando alla gente quello che sentiva e quello che pensava attraverso i suoi atti e le sue parole ogni volta che ciò gli era possibile, nello sforzo di creare delle relazioni umane che permettessero sia all'autonomia che alla solidarietà di svilupparsi. E rimase fedele a se stesso per tutta la vita. Non era un adulto falso. Posso quindi credergli, anche se può avere commesso degli errori. E' questo uno dei motivi fondamentali, per cui vorrei introdurre le sue idee tra i giapponesi e in particolare tra i giovani.

(traduzione dall'inglese di Andrea Ferrario)